ARTE – Ruggero Maggi

“Quel che conta è la potenza del pensiero”. Intervista all’artista e curatore Ruggero Maggi, di Roberto Vidali

 

Dal 1973 Ruggero Maggi si occupa di poesia visiva e libri d’artista (Archivio Non solo libri), dal 1975 di copy art e arte postale (Archivio Amazon dedicato alla eco-arte); dal 1976 di laser art, dal 1979 di olografia, dal 1985 di arte incentrata sulla teoria del caos e dei frattali. Ha partecipato ad alcune edizioni della Biennale di Venezia e alla 16. Biennale d’arte contemporanea di San Paolo. Nel 2006 ha realizzato Underwood, intervento site- specific per la Galleria d’Arte Moderna di Gallarate. Nel 2007 ha presentato il progetto dedicato a Pierre Restany “Camera 312 – promemoria per Pierre” alla 52. Biennale di Venezia. Dal 2011 al 2019 ha ideato e curato a Venezia “Padiglione Tibet – il padiglione per un paese che non c’è”, progetto parallelo alla Biennale e nel 2021 Padiglione Birmania, progetto di Mail Art. Abbiamo incontrato Ruggero Maggi nel suo studio milanese per puntualizzare alcuni aspetti del suo lavoro. Ci parli un po’ della tua gioventù? Nel 1973, a soli ventidue anni, scopro l’esistenza della poesia visiva grazie all’incontro con Carlo Belloli e apro in centro, a Milano, il Milan Art Center, uno spazio multimediale dove per molti anni ho ospitato le ricerche più sperimentali. E del rapporto che hai intrattenuto per più anni con Pierre Restany? Pierre era un militante a livello ecologico e prima ancora dell’arte ci legò la passione per la natura integrale e soprattutto per l’Amazzonia. Nel ‘79, infatti, io visitai quella peruviana, esperienza che mi coinvolse a tal punto da fondare un archivio di eco-arte chiamato Amazon e Pierre quella brasiliana dove ideò il suo storico Manifesto del Rio Negro. Agli inizi degli anni ‘90 mi dedicò un suo prezioso testo “Più vero di Natura” che ha segnato in modo profondo la mia intera ricerca. Alla sua scomparsa ho ideato un progetto incentrato sulla sua figura “Camera 312 – pro memoria per Pierre” che nel 2007 ho presentato alla Biennale. La camera 312 era la suite di Restany all’Hotel Manzoni di Milano. Tu sei un “campione” della mail art. Ritieni che nell’epoca di Internet questo processo di scambio e produzione artistica debba ritenersi superato? L’arte postale non è solo un movimento artistico ma anche un fenomeno sociale. E come tutti i fenomeni di cultura underground ora è “cannibalizzato” anche da musei e fondazioni. L’importante è mantenere quella metodologia di pensiero alternativo che l’hanno sempre contraddistinta non solo sul fronte artistico, ma anche su quello sociale e politico: “La Mail Art usa le istituzioni nei luoghi delle istituzioni contro le istituzioni”. I mezzi tecnologici di comunicazione interpersonale (social, ecc) sono senz’altro più economici, più rapidi e più pratici, ma la Snail (lumaca!) Mail Art che riempie la buca delle lettere, magari con le cartoline profumate di Guy Bleus o quelle strappate di Ben Vautier, è un’altra storia. Poi, riguardo al tuo lavoro, non si può non parlare di luci al wood e di tecnologia… Nel 1979 sono stato, credo, il primo artista in Italia ad usare l’olografia con ologrammi a trasmissione che realizzai riproducendo un’installazione con strutture su specchi, in cui intervenivo anche a livello performativo. Avevo ventitré anni quando iniziai a lavorare con i neon e due anni dopo con il laser. Ero affascinato dalla sperimentazione con la luce. Non volevo ottenere “effetti speciali”, volevo capire come piegare la luce, come ordinare un fascio luminoso su una superficie scabra e credo di esserci riuscito con una serie di installazioni laser e soprattutto con un grande intervento site-specific con luci wood alla GAM di Gallarate intitolato Underwood, in cui il visitatore si trovava immerso in un bagliore quasi ipnotico che lo coinvolgeva a livello multisensoriale con immagini che avevo dipinto sulle pareti del museo con una speciale vernice trasparente. A distanza di tanti anni, dopo aver intrapreso e praticato così tante avventure, come vivi questo momento storico: come un indiano chiuso nella riserva o come una tigre nascosta nella giungla? Mi sento come un indiano in una riserva che però, attraverso la mail art o altri tipi di comunicazione, agisce come una tigre nella foresta! A parte gli scherzi… in effetti tra pandemie varie e pazzi belligeranti c’è poco da scherzare. Da anni hai sposato, in maniera encomiabile, la causa del Tibet. Ce ne parli? Una decina di anni fa pensai che sarebbe stato interessante creare un padiglione artistico dedicato a un paese troppo spesso dimenticato come il Tibet. Un paese che, se l’Amazzonia è considerata il polmone verde dell’intero pianeta, rappresenta senz’altro il polmone più spirituale. Una vocazione spirituale quella del Tibet che tragicamente si è scontrata con gli interessi più meramente economici, commerciali e politici di un paese confinante che i tibetani consideravano fratello… non so perché ma tutto ciò mi fa venire in mente qualcosa di molto più recente. “Padiglione Tibet – il padiglione per un paese che non c’è” già nell’enunciazione del titolo contiene in sé una forte carica emozionale e ne fa, almeno nella mia visione, un progetto concettuale. Fu presentato per la prima volta parallelamente alla Biennale del 2011. A tuo parere, il futuro sarà degli ingegneri o degli artisti? Probabilmente si potrà parlare (ma già ora se ne vedono le tracce e forse io sono uno di loro!) di artisti-ingegneri. Ho sempre pensato che l’intuizione alla base del pensiero creativo, sia esso finalizzato verso l’arte o verso la scienza, abbia origini comuni. La linea di demarcazione è molto sottile: arte e tecnologia, arte e scienza… è la potenza del pensiero che conta. Una teoria scientifica può apparire talmente bella da sconfinare nell’ambito artistico e un’opera d’arte talmente precisa, schematica, intuitivamente così Zen, minimalista, da sembrare parto di una mente scientifica. Quali progetti per il futuro? Sto studiando da molti anni alcune teorie legate al Caos, ai frattali, all’entropia e spero entro quest’anno di terminare un mio testo sull’argomento. Sto anche organizzando il progetto di Mail Art Padiglione Ucraina che verrà presentato a maggio e alcune mostre personali in Italia, Argentina e Giappone. (Ulteriori approfondimenti su: https://www.juliet-artmagazine.com/in-conversazione-con-ruggero-maggi/)

ROBERTO VIDALI

sopra, “For Cocteau the blood of the poet” 2011, tecnica mista su tela, cm 96,4 x 96,4 x 13,5, foto di Alessandro Azioni, courtesy Collezione Mauro Carrera

sotto, “Da qui all’eternità” 2017, installazione, misure variabili. Foto di Marco Valenti

qui sotto, “Nel posto giusto al momento giusto” 2021, polimaterico e smalto su pallone di cuoio in teca di plexiglas, cm 37 x 31 x 31, courtesy costituenda Fondazione Paolo Rossi e “Identità cancellate” 1985, polimaterico con neon, cm 35 x 40

     

    ancora sotto, “Identità” 1974, neon e calco in gesso su metallo, cm 61 x 151, courtesy Milan ArtCenter

per finire, “Anguineus” 1993, polimaterico con neon e incisione su plexiglas, courtesy Collezione Samuele Mazza e “Velo d’ombra” 2002, performance e installazione, all’interno della mostra “Demolizioni”, ex officine Breda, Cadoneghe (PD)

        

6 commenti su “ARTE – Ruggero Maggi”

  1. Annalisa Mitrano

    Stimatissimo Ruggero, ho letto l’articolo che ben ti rappresenta , seguo sempre con molto piacere il tuo percorso creativo , inconfondibile, ammiro il trasporto con il quale ti dedichi alla sensibilizzazione degli aspetti sociali urgenti( o almeno dovrebbero) e la capacità che hai di trasmettere e coinvolgere. Buon futuro e grazie

  2. Adesso più che mai, come artista “avvolta” e “travolta” da questi tempi oscuri e dagli insondabili sviluppi di un futuro traballante e incerto, la grande forza che Ruggero Maggi riesce a trasmetterci attraverso le sue opere e le sue incredibili iniziative…. coinvolgenti… inclusive… oltre ogni limite spazio/tempo/luogo …diviene essenziale oasi, rifugio e convinzione che l’Arte sia ancora/àncora di salvezza per tutti noi.
    Quel che conta è la potenza dell’Arte…. Grazie Ruggero!

  3. In questo momento così grave, dove la stessa civiltà subisce attacchi su tanti fronti è importante che gli artisti non rinuncino a prendere parola ,a credere nella dimensione sociale del fare artistico. E’ quello che tu fai, Ruggero e che chiedi di fare agli altri artisti, proprio quando sembra che tanti inseguano il facile successo, suscitando meraviglia con abili tecniche, intrattenendo il pubblico con emozioni previste e prevedibili. Il tuo fare nasce negli anni settanta e per fortuna continua in una stagione così diversa. Mi trovo a condividere molto di quanto affermi nell’intervista, mentre apprezzo la qualità di tante tue opere.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito è protetto da reCAPTCHA, ed è soggetto alla Privacy Policy e ai Termini di utilizzo di Google.